Elisa

Elisa

Ho scritto queste righe prima che Covid19 entrasse nella nelle nostre vite e mi sono chiesta se, oggi, dopo questa esperienza, avrei scritto qualcosa di diverso. Credo proprio di sì … ma alla fine ho preferito non cambiare.

Covid ha trasformato il nostro modo di percepire e vivere la realtà, ha cambiato repentinamente i nostri equilibri, le nostre prospettive e le nostre sicurezze. Abbiamo rivisto le relazioni, ripensato agli spazi e ai luoghi in cui ci muoviamo , abbiamo modificato le nostre abitudini e abbiamo risposto ad interrogativi profondi sul senso della nostra vita. È entrata nelle nostre case la paura, l’incertezza e, a volte purtroppo, anche il dolore di una perdita. Ci siamo dovuti reinventare luoghi, mestieri e piaceri. Bene, vedo tutto questo emotivamente molto faticoso, il prezzo è altissimo , ma sento tutta la forza e l’energia di un evento che ci consentirà di fare una pulizia profonda fuori e dentro di noi. Se solo riuscissimo a cogliere questa opportunità come individui e come comunità, potremo fare molto di più che un passo in avanti.
Ed’ è stata un po’ così anche l’esperienza che racconto.

Ringrazio di cuore Francesco e il Grade per avermi coinvolto anche in questo progetto.

Nel 2004 dopo 5 anni di calvario, ho perso la mia mamma. Arrendersi alla sua malattia e accettare di lasciarla andare è stata in assoluto la prova più difficile della mia vita. Se non ti uccide ti fortifica dicono. Ed è stato proprio cosi. Lei, con il suo sorriso, la sua dolcezza, la sua serenità nel vivere con fede e coraggio ogni passaggio, mi aveva lasciato l’eredità più grande: il suo esempio. Cosi’ quando toccò a me, non mi trovai del tutto impreparata.
Giugno 2009. Il mio mese preferito. Il profumo dei tigli, il clima perfetto, i mille programmi dell’estate in arrivo, la caparra appena data per il viaggio a Bali con le mie amiche. Sono nel pieno di un bel percorso professionale, fisicamente mi sentivo bene, ogni giorno mi allenavo perché di lì a poco avrei voluto provare una maratona. Una mattina, prima di imboccare l’autostrada per una trasferta, passo in velocità a ritirare un referto per un fastidioso male al ginocchio che avevo da un po’ di tempo. Ero tranquilla, entro spavalda. “Si sieda un attimo”, mi dice il dottore e in un secondo mi lancia la bomba. “Hai una massa di 4 cm dentro all’osso della tibia. E’ un Linfoma non Hodgkin molto raro”. Sbaaaaam!! ”Hai 1 anno davanti tostissimo ma ci salterai fuori. Le percentuali di guarigione sono confortanti”. Mah. Non ci credo! Non voglio crederci. Ho molta rabbia. Ho lottato tanto per riconquistare un po’ di equilibrio e in un attimo tutto va in frantumi. Il pensiero corre subito alla mia famiglia. Devo trovare le parole per comunicarglielo. C’è sempre stato un forte senso di protezione fra di noi e spesso per non angustiare chi amiamo di più al mondo tendiamo a trattenere per noi le preoccupazioni più profonde. Siamo cresciuti cosi perché cosi’ era la mamma. L’apoteosi dell’amore direi. Bello, bellissimo ma non so se sempre sano. Esco. Mi fermo su un muretto e inizio a pregare. Chiedo coraggio, forza e soprattutto la capacità di accettare una nuova battuta d’arresto che mi impone ancora di stravolgere i miei programmi di vita.
Sono ottimista e tenace, un’entusiasta della vita, ho tante passioni a cui non voglio rinunciare e subito mi prende una gran voglia di liberarmi da questo antipatico ospite. Il più velocemente possibile. Mi sento forte. L’obiettivo è sfidante ma sento di potercela fare. Parte un task force pazzesca. Il papà e i miei fratelli, i miei parenti, le mie amiche, i miei colleghi. Sono avvolta e supportata da tutti.
Dopo 5 giorni sono in cura da Francesco Merli, sento di potermi affidare a lui con grande serenità. E’ deciso, risoluto e con la sua riconosciuta competenza e affabilità mi conquista subito. C’è una frase però che mi rimbomba pesantissima in testa. La chemio potrebbe incidere sulla mia fertilità. Noooo!! Questo noooo! Era il desiderio più grande che avevo. Ok, dopo qualche giorno di grande sconforto, metto da parte anche questa notizia. Per me è un macigno, accettarla è più pesante ancora della malattia stessa.” Affidati al Signore “mi suggerisce Don Giuseppe Dossetti, mia indispensabile guida spirituale. “Vedremo. Intanto arriva in fondo a questa avventura”. I cicli di chemio iniziano, la “rossa”, come chiamano questo cocktail di farmaci, inizia a colpire. La mia chioma bionda cade. Come per ogni donna, magari un po’ vanitosa, il tema capelli seppur superficiale è complesso, ma dopo qualche ciclo lo diventano di più le nausee, i gonfiori, i dolori diffusi, le debolezza, la febbre, i sapori cattivi…l’immagine del tuo fisico che cambia…un corpo affaticato e lento. Metto a dura prova anche la mia iperattività che forzatamente deve sparire. Tutto deve rallentare. Devo imparare ad avere pazienza. Sono testona e determinata e mi infastidisce rinunciare alla mia quotidianità. Continuo a lavorare come se nulla fosse. Non posso giocare a tennis, non posso correre e sudare ma scopro Yoga e Pilates, mondi nuovi che tutt’oggi mi regalano grande benessere e di cui mai magari avrei fatto esperienza. In fondo mi sentivo molto fortunata. Vedevo persone stare malissimo, io no. Era faticoso ma potevo e riuscivo a sopportare. Stringo i denti come mi ha insegnato papà e i tanti anni di sport. Cosi’ passa l’estate, un estate diversa, strana, sotto l’ombrellone con la protezione altissima e senza alcun bagno né in mare né in piscina. A settembre, con la Pet decisiva, arriva la parola “remissione completa”. Non proprio fuori pericolo ma è il primo passo verso la guarigione. Non ho né modo né tempo però di riprendere fiato. Ci sono altre pagine infauste da scrivere nel destino della mia famiglia. A distanza di qualche mese dalla fine delle mie terapie, si ammala papà. In 7 mesi di ospedale, il nostro guerriero se ne va. Era incurabile e lui in fondo lo sapeva bene. Ma non ha mai mollato. Neanche un giorno, neanche quando era devastato dalla chemio. Anche lui, come la mamma, sempre con il sorriso e la speranza di saltarci fuori. Difficile da raccontare l’esperienza di papà. Io con ancora la parrucca in testa che entravo e uscivo dall’ospedale tutte le sante mattine e sere. L’odore dell’ospedale mi nauseava eppure non vedevo l’ora di passare da lui prima di andare al lavoro per dargli un bacio, i giornali, la colazione e tornare la sera per la buonanotte. Come l’ultima sera, quando l’ho abbracciato per l’ultima volta.
Passano 4 anni. Non possiamo credere che possa succedere ancora qualcosa. Questa volta mia sorella, ancora un linfoma, di Hodgkin questa volta. Siamo tramortiti dall’ennesimo pugno. Disperata, incredula. Non è possibile. Siamo ancora sotto tiro, io e miei adorati fratelli. Ma uniti più che mai affrontiamo anche questa. Lei è strepitosa, ha una carica umana e spirituale che non ha eguali e attraversa la sua prova con grande coraggio. L’amore vince su tutto e cosi’ è stato. E anche lei guarisce. E ancora per mano di Francesco Merli.

10 anni assurdi insomma. Ma in mezzo ai momenti difficili, alle svolte repentine ci sono passaggi significativi di intima crescita, momenti carichi di meraviglia e di assoluta bellezza. Non è una visione forzatamente romantica e ottimistica ma è la mia personale esperienza. Ho scoperto una nuova e piena consapevolezza di me stessa e del mondo intorno a me, ho capito dove può arrivare la forza dell’amore, ho vissuto il potere delle amicizie autentiche, ho provato ad affidarmi senza paura, a capire il significato della parola resilienza, ad accogliere ogni piccola, rara, fugace gioia e a moltiplicarne l’intensità. Ho imparato ad emozionarmi davanti ad apparenti banalità, a percepire e respirare pienezza e gratitudine quando tutto è grazie a Dio al suo posto, a sentire nel silenzio della preghiera vibrazioni ed energie prima sconosciute, a vivere la mia famiglia come principale ancora. Ho capito come avrei voluto condurre la mia vita e con quali priorità, modificandone radicalmente lo stile e iniziando un percorso verso un’alimentazione consapevole.
Sono stati anni di profonde e radicali trasformazioni, una dietro l’altra e una dentro l’altra, anni di dolori forti e prolungati, dove a volte mancava l’ossigeno necessario per sopportare la realtà. Allora, una cara cugina, mi disse di accettare l’idea che qualcosa dovesse finire, di non avere paura delle cose che cambiano ma di mettermi in silenzio e provare ad ascoltare il rumore di ciò che invece stava iniziando, perché anche nello sconforto le cose che iniziano possono avere un rumore bellissimo seppure diverso e sconosciuto.
Cosi’ ho attraversato quegli anni e oggi, penso davvero che quel profondo solco era indispensabile per contenere e accogliere la gioia degli anni seguenti….perchè la realtà, dopo, anche con l’arrivo del mio bimbo, ha ampiamente superato i sogni più belli.

Elisa Tribuzio