Sara
È davvero difficile riuscire a mettere nero su bianco quello che succede in quei giorni…quel crescendo di emozioni variegate che si alternano tra la paura di morire e la voglia irrefrenabile di combattere contro chi minaccia la tua vita. Passi dalla gioia di vedere che esistono davvero persone buone disposte ad aiutarti per nulla in cambio, al dolore fisico che devi per forza sopportare, perchè devi vincere e le cure si fanno pesanti! E poi, la bellezza di vedere che le persone non hanno più paura di dimostrarti il loro affetto: quelle emozioni che teniamo sempre un po’ nascoste per paura di apparire esagerati o inopportuni e che, nel momento del dolore, si trasformano nella visita di chi proprio non te lo aspettavi, in chi ti manda un fiore e ti fa sapere che ti pensa, chi ti ha sempre strapazzato e adesso, dal fondo di un letto di ospedale, ti sfiora appena i piedi per paura di farti male.
È nel periodo, penso…spero, più delicato e amaro della mia vita, che ho imparato che qualsiasi cosa tu faccia, ogni giorno, essa è davvero unica e meravigliosa e merita di essere provata! Non scorderò mai il giorno in cui, dopo un lungo rimbalzare da un ambulatorio all’altro, capirono che cosa mi stava succedendo e un medico vestito da principe (come mi piace ricordarlo) mi portò via dalla sala d’aspetto di una Tac per raccontarmi, con tutta la dolcezza di cui era capace, quello che da lì a poco sarebbe cominciato. Avevo un Linfoma di Burkitt, situato nella zona pelvica; non ho mai fatto troppe domande sulla natura e la gravità della mia malattia, mi limitai ad evitare di cercare informazioni devianti su Internet e a fidarmi totalmente di quelli che improvvisamente erano diventati i miei “angeli custodi”: i medici! Quello che tutti pensavano fosse stress da esami universitari, in realtà era qualcosa di grande e pericoloso che da un po’ ormai si era silenziosamente insediato dentro di me e andava boicottato immediatamente. Per molto tempo avevo ignorato l’importanza di quello che mi stava accadendo e non mi fu subito chiaro quello che mi sarei ritrovata ad affrontare: per molte settimane, infatti, la paura, la nostalgia di casa, la voglia di normalità e il bisogno di sentirmi al sicuro tardarono ad arrivare e quando poi, con tutta la loro violenza si rovesciarono su di me…ero ormai lì, ricoverata in BCM, dietro a due porte dalle quali per il mio bene non potevo uscire, senza neanche più la voglia di fare una telefonata. Ero isolata, ma non sono mai stata sola! E questo, davvero, mi ha dato la forza di non mollare mai! C’erano tutte le persone che erano diventate parte della mia famiglia, quelle stesse persone che mi avevano accolta senza neanche conoscermi, senza domandarsi se valesse la pena di aiutarmi oppure no, e lo hanno fatto con amore, con dedizione, con l’affetto di un fratello e la dolcezza di un amico. Anche quando me lo meritavo poco, anche quando i lamenti forse erano più forti del dolore, quando la stanchezza e l’esasperazione istigavano capricci e pene esagerati. Ognuno di loro, nella propria infinita bontà, mi ha aiutata a portare a termine quel cammino tortuoso che ho dovuto affrontare, e lo hanno fatto sempre con gesti semplici e genuini, come prendermi una Coca alla macchinetta o fermandosi con me a guardare un gioco alla tv quando avevo bisogno di ricordare una serata fuori con gli amici; mi hanno consolata quando avevo bisogno di piangere, ma non avevo il coraggio di farlo, e mi hanno aiutata a riflettere quando non volevo capire l’importanza di restare per curarmi. Oggi, posso solo dire GRAZIE, a chi ogni giorno mi portava un pezzo di pizza fatto in casa con tanti wurstel perchè sembrava fosse l’unica cosa che riuscivo a mangiare, a chi mi lasciava per ultima durante il cambio letti perchè potessi dormire un po’ di più e a chi, salutandomi, lo faceva con un sorriso e invece di una stretta di mano, con una carezza, mi dava la forza di non arrendermi mai! Tutto questo è il risultato della mia esperienza durante i ricoveri in ematologia: la chemio, le trasfusioni , il continuo rimettere e l’abbandonarti delle forze…non sono tutto! C’è anche la possibilità di riscoprire se stessi, senza più capelli, con un foulard colorato sulla testa, cercando di capire per chi e per cosa vale davvero la pena di vivere, per poi ritrovarsi davanti a un computer molto tempo dopo, con gli occhi lucidi, sì…ma per la gioia di avercela fatta! Con la promessa di non dimenticare mai, perchè “il sollievo della guarigione non deve cancellare quel periodo della vita…”
Sara Cantarelli