Martina

Martina

Quando racconti che hai avuto un linfoma solitamente l’ascoltatore medio sgrana gli occhi, percependo che questo “linfoma” è una cosa molto brutta, ma non rendendosi totalmente conto di cosa sia. Finché non porge la domanda standard: ma ora stai bene? Sì, rispondo io, sto bene ora grazie. Ma è stato un viaggio lungo.

La seconda domanda è solitamente, ma come hai fatto a scoprirlo? Mi chiamo Martina, ho 27 anni e a 19 anni ho avuto un Linfoma non Hodgkin. Avevo appena superato la maturità, ero stanca, spossata e facevo una gran fatica a respirare. Ma a 19 anni si pensa ad altro, non sicuramente a un tumore al sangue.
Dopo vari ricoveri al pronto soccorso e qualche diagnosi non proprio azzeccata, vengo presa in cura dal dottor Merli e da tutto il suo team. A questo punto del racconto, di solito, mi viene fatta la domanda: “ma hai fatto anche la chemio?” Sì, eccome. E per non farmi mancare proprio nulla, ho fatto anche vari cicli di radioterapia.

A volte fatico a ricordare quei momenti, ricordo però che dalla mia camera nel reparto di ematologia guardavo fuori, il cielo, aspettando il momento di uscire finalmente libera da quel demone indesiderato che abitava il mio corpo. Tuttavia, questa malattia mi ha cambiata. Non appena mi sono sentita in forze ho viaggiato in lungo e in largo, cercando di fare più esperienze che potessi. Dal 2011 il mio obiettivo è stato quello di essere una persona positiva e guardare oltre le nuvole per cercare il sole.

È stato un lungo viaggio, decisamente non in discesa. Ma con l’aiuto delle giuste persone e con la grinta di una guerriera ce l’ho fatta. Durante l’anno della cura ho iniziato la facoltà di Scienze dell’educazione a Reggio Emilia, ma ho capito, poche settimane dopo, che non era la strada adatta a me.
Ancora spelacchiata, con qualche chilo in meno ma sempre con la stessa grinta, l’anno successivo mi sono iscritta a Lingue e Culture Europee, seguendo la mia vera passione, la letteratura e le lingue. Tre anni dopo, con una laurea in mano, mi sono iscritta alla magistrale a Bologna per terminare il ciclo dei miei studi. Ora il mio obiettivo è insegnare inglese a scuola, trasmettere la passione che ho io per le lingue e le letterature.

Mi ritengo fortunata perché ho avuto attorno a me, paradossalmente nel momento di male più estremo, le migliori persone che potessi desiderare. Il reparto di Ematologia è stato per me una grande famiglia. Ricordo ancora i giorni passati in ospedale, ero sola ma non mi sentivo mai abbandonata. I dottori, gli infermieri, gli OSS, tutti quanti mi hanno dimostrato affetto, hanno sempre fatto il possibile per farmi sentire non una qualsiasi paziente ricoverata, ma una persona speciale che merita le cure e le attenzioni migliori.

I primi tempi nascondevo i capelli corti, le cicatrici e in pochi conoscevano la mia storia. Otto anni dopo non nascondo più ciò che ho passato e cerco sempre di trasmettere speranza e dare forza, cerco di mettere in luce gli aspetti positivi di questo male tremendo che affligge così tanta gente. Certamente non è un percorso facile, ma mi ha formata, nel bene e nel male, a diventare una persona migliore (o per lo meno lo spero). Anche se può stupire che si possano trovare aspetti positivi da un’esperienza del genere, avere conosciuto un’associazione così speciale e aver creato un solido legame con persone così meravigliose, io lo ritengo un privilegio e ogni volta che racconto la mia storia, mi rendo davvero consapevole di quanto sia stata fortunata. Ora racconto a tutti ciò che ho avuto perché credo che il Grade sia un esempio concreto in grado di ridare fiducia nel prossimo.

Non ci saranno mai abbastanza parole per esprimere quanto io sia grata al reparto di Ematologia , alle persone che compongono il suo staff. E alla Fondazione Grade per il sostegno costante.