Matteo
A 19 anni in genere si pensa a divertirsi, soprattutto se le superiori sono appena finite e si sta pensando di iscriversi all’università: l’estate della maturità è
quella delle prime vere vacanze.
Anche Matteo stava programmando di partire e proprio per questa ragione aveva deciso di far vedere al medico un taglio alla mano che stentava a guarire.
Era l’estate del 1998.
“Ero andato dal medico solo per una precauzione: dovendo andare in ferie, preferivo essere tranquillo. Era in programma il viaggio in Grecia con gli amici… Il medico decise di farmi fare anche le analisi del sangue. Ne uscì un quadro inatteso: leucemia promielocitica acuta. Non avevo alcun sintomo, se non, ripensandoci a posteriori, una febbriciattola cui non avevo dato alcun peso”.
Per Matteo inizia così l’iter degli accertamenti e delle cure. Niente ferie ovviamente, ma immediato ricovero nel reparto di Ematologia dell’Arcispedale
Santa Maria Nuova, dove viene sottoposto a quattro cicli di chemioterapia.
“Per fortuna sono bastati questi. A dicembre era già tutto finito, la mia malattia era in remissione completa. Siamo stati fortunati – ride Matteo,
mentre lo dice – mi dicono che è così. In realtà ricordo ogni momento di quei giorni, ogni istante. Ho vissuto situazioni che mi hanno fatto crescere,
segnato e portato a cambiare la mia scala di valori”.
A 19 anni si tratta non solo di un’esperienza forte, ma di qualcosa di assolutamente inatteso e lontano. La sua ricetta per combattere, racconta Matteo, è stata l’allegria, il sorriso sempre pronto.
“Non ricordo l’isolamento come la cosa peggiore, ho cercato di affrontare ogni cosa sorridendo. Sono una persona di indole allegra e ho affrontato la
malattia nell’unico modo che conosco: con il sorriso. Mi è servito a sdrammatizzare, ad alleggerire il peso della situazione”.
Anche Matteo ricorda l’aiuto, il sostegno delle persone che gli sono state vicine in quel periodo: i familiari, gli amici, la fidanzata di allora.
“Quando è finito tutto, quando ho ripreso la mia vita normale, mi sono trovato cambiato, ero cambiato. Io ho una grande passione, il calcio, ho smesso di
giocare solo nel periodo delle cure. L’ultima partita l’ho fatta pochi giorni prima che mi diagnosticassero la malattia. Ho dato nuovamente calci a un pallone a febbraio del 1999, neanche due mesi dopo aver finito la chemioterapia. L’ho fatto anche se i medici non erano tanto d’accordo, ma l’ho fatto”.
E a febbraio, in ritardo di pochi mesi sulla tabella di marcia, Matteo si è iscritto anche all’università, alla facoltà di ingegneria informatica. È stata anche
la sua passione per il calcio a portarlo a partecipare al progetto della squadra degli ex malati di tumore, che hanno deciso ironicamente di battezzarsi come gli Highlander.
Oggi Matteo ha 36 anni.